Domenica
19 ottobre, ore 21,30, Cafè al teatro, Prato (di fronte al Metastasio)
prove aperte dirette da Elio
Varriale
Silvia
Falugiani
Voce
Nicoletta
Fiorina
Voce
Tommaso
Geri
Chitarra
Michele
Gurrieri
Tromba
Serena
Moroni
Violino
Elio
Varriale
Fisarmonica
Lucio
Varriale
Chitarra
Ricerca
storica e storiografica
Germana
Galteri, Simone Malavolti, Carlo Savorelli, Giulia Sbraci, Elio Varriale
Il
tessuto della Storia è quello che noi chiamiamo un intreccio, una mescolanza
molto umana e poco “scientifica” di cause materiali, di finalità e di
casualità; uno stralcio di vita, insomma, che lo storico ritaglia a suo piacere
e nel quale i fatti hanno i loro legami obiettivi e la loro importanza
relativa… La parola intreccio ha il vantaggio di ricordarci che lo storico
studia qualcosa di altrettanto umano di un romanzo o un dramma, Guerra e pace,
Antonio e Cleopatra… Quali sono i fatti degni di attirare l’attenzione dello
storico? Tutto dipende dall’intreccio scelto; in se stesso un fatto non è né
interessante né il contrario… Nella Storia, come in teatro, è impossibile
mostrare tutto, non perché ci vorrebbero troppe pagine, ma perché non esistono
fatti storici elementari, atomi d’avvenimenti. Se non si osservano gli
avvenimenti nei loro intrecci, si viene aspirati dal turbine
dell’infinitesimale.
(Paul
Veyne)
Erano
prigionieri e non si vedeva la prigione; cavalcavano, ma non si vedeva il
cavallo; combattevano, ma le spade erano di canna; morivano, e poi si
rialzavano. – Gli atti dei pazzi, - disse Farach, - eccedono le previsioni del
savio. – Non erano pazzi, - spiegò Abulcasim, - rappresentavano, a quanto mi
disse un mercante, una storia. Nessuno comprese, nessuno sembrò voler
comprendere.
(Jorge Luis
Borges, La ricerca di Averroè)
Un
populu
Mittitilu
a catina
Spugghiatilu
Attuppatici
a vucca,
è
ancora libiru.
Livatici
u travagghiu
U
passaportu
A
tavula unni mancia
U
letto unni dormi,
è
ancora riccu.
Un
populu
Diventa
poviru e servu
Quannu
ci arrobanu a lingua
Additata
di patri:
è
persu pi sempri.
Diventa
poviru e servu,
quannu
i paroli non figghianu paroli
e
si mancianu tra d’iddi.
(Ignazio
Buttitta, gennaio 1970)
Per
i Grimm era lo scoprire i frantumi d’una antica religione della razza,
custodita dai voghi, da far risorgere nel giorno glorioso in cui, cacciato
Napoleone, si risvegliasse la coscienza germanica; per gli indianisti erano le
allegorie, dei primi ariani, che stupiti dal sole e dalla luna, fondavano
l’evoluzione religiosa e civile; per gli antropologi gli oscuri e sanguinosi
riti d’iniziazione dei giovinetti delle tribù, uguali nelle foreste di tutto
il mondo tra quei padri cacciatori ed ancor oggi tra i selvaggi; per i seguaci
della scuola finnica delle specie di coleotteri da classificare e incasellare,
ridotte ad una sigla algebrica di lettere e cifre, nei loro cataloghi –
Type-Index e il Motif-Index – e nei loro tracciati delle fluttuanti migrazioni
tra i paesi buddistici, l’Irlanda ed il Sahara; per i freudiani, un repertorio
d’ambigui sogni comuni a tutti gli uomini, rubati all’oblio dei risvegli e
fissati in forma canonica per rappresentare le paure più elementari.
Per
tutti gli sparsi appassionati di tradizioni dialettali, l’umile fede in un dio
ignoto, agreste e familiare, che si cela nel parlare dei paesani. […] Una
mania di scoperta, per cui avrei dato tutto Proust in cambio d’una nuova
variante del ciuco caca-zecchini.
(Italo
Calvino, Le fiabe italiane, Einaudi, Torino, 1956)
Ma io entravo nelle case dei contadini pugliesi come un compagno, come un cercatore di uomini e di umane dimenticate istorie, che al tempo stesso spia la sua propria umanità, e che vuole rendersi partecipe, insieme agli uomini incontrati, della fondazione di un mondo migliore.
(Ernesto De Martino)
Qualche Brano tratto dall'antologia/canovaccio